Interventi psicologici in oncologia: dal sintomo alla ricerca di senso

Da un punto di vista esistenziale ancora oggi la malattia oncologica rappresenta una delle patologie più temute e occupa uno spazio significativo nell’immaginario collettivo.

Nonostante i progressi terapeutici, l’uso di un linguaggio più rassicurante e la maggiore disponibilità di informazioni mediche, essa continua ad evocare vissuti di sofferenza, disperazione e morte. Il suo impatto si manifesta a livello fisico ma anche psichico, sociale  e spirituale.

l’esperienza della diagnosi oncologica  segna uno spartiacque molto profondo nella vita delle persone. Nessuno passa indenne da questa esperienza. È “una cesura”, un “inciampo” come sostengono molti pazienti e niente è più come prima della malattia. Cambiano le prospettive, il senso del tempo, delle relazioni e dei valori esistenziali. Sarebbe sbagliato ricercare dei comportamenti standard conseguenti al cancro. Ogni soggetto di fronte a un evento del genere risponde a modo proprio. La malattia oncologica  è una patologia che colpisce prevalentemente una popolazione adulta e pertanto la sua comparsa e le inevitabili implicazioni psicosociali interagiscono con una struttura di personalità già organizzata.

In letteratura la reazione psicologica alla diagnosi  oncologica viene generalmente descritta come un processo a stadi dove da una prima fase di shock si passa a quella di reazione, successivamente a quella di elaborazione ed infine alla fase di riorientamento.  Inizialmente la teorizzazione di questi passaggi non hanno riguardato l’oncologia ma la reattività  generica degli esseri umani agli eventi traumatici. Infatti nel 1974 J. Cullberg, psichiatra e ricercatore psicoanalista, nel suo libro Crisis e Development descrive il processo reattivo delle persone a qualunque evento traumatico  proprio attraverso il percorso che dallo shock arriva al riorientamento attraverso i passaggi intermedi della fase reattiva e di quella elaborativa (1).  Nel 1990 Bolund C. applica questo modello all’oncologia specificandone le problematiche associate ad ogni fase e stadio di malattia. Dalla condizione che  generalmente si caratterizza come una catastrofe, come una rottura del senso di continuità e dell’esperienza di sé, si entra in un tempo in cui la realtà si impone con le procedure chirurgiche, farmacologiche e radioterapiche. A tutto questo fa  seguito  un tempo in cui l’alleanza con il medico e il processo di cura diventano sempre più importanti fino ad arrivare alla condizione dove  l’esperienza della malattia trova una nuova collocazione nel proprio progetto esistenziale (2).

Per tanto tempo l’immaginario collettivo sulle implicazioni psicologiche della malattia neoplastica e delle sue ripercussioni nel tempo è stato caratterizzato da valutazioni pessimistiche e negative. Le ricerche che hanno indagato questo tema descrivevano il dispiegarsi nel tempo del vissuto psicologico legato alla malattia come un peggioramento continuo e costante della qualità di vita. Lo studio di  M. Bard, pubblicato su Cancer nel 1955,  riguardante l’impatto psicologico della malattia neoplastica e dei suoi trattamenti nelle donne operate per patologia mammaria è, da questo punto di vista  particolarmente significativo. Le parole utilizzate per raccontare l’esperienza delle donne erano: rabbia, depressione, isolamento sociale, stigma e ritiro sociale (3). Un insieme di parole dalle connotazioni negative e indicative di un vissuto di sofferenza che  riflettevano sia il senso comune associato a questa malattia ma anche la poca conoscenza di quanto realmente accadeva nella vita delle donne interessate. Dopo il 1955 e ancora per ancora molti anni, le informazioni sulle implicazioni psicologiche della malattia neoplastica sono rimaste insufficienti e parziali fino al punto che nel 1984 D. Well McCaffrey  invitava i ricercatori ad approfondire il tema  della qualità di vita dei malati in qualunque fase dell’iter terapeutico (4). Molto poco infatti si sapeva dell’impatto dei trattamenti ma anche delle problematiche psicologiche e sociali di coloro che erano in follow-up e/o in remissione di malattia.  Senza dubbio una causa di questa scarsa conoscenza è dovuta al fatto che nelle pratica medica  la malattia in generale (e nel nostro caso quella oncologica) è considerata un fatto puramente biologico, organicistico e tutte le implicazioni psicologiche  e sociali vengono considerate secondarie e non importanti sul piano della cura. Questa impostazione la si può riscontrare, per certi aspetti,  ancora oggi ed alla base della difficoltà che incontrano le discipline umanistiche e psicologiche ad entrare in maniera sistematica nella stesura dei piani di cura.

In generale possiamo affermare che il coinvolgimento della psicologia nella pratica oncologica  è un fenomeno piuttosto recente e per molti anni i ricercatori e i clinici che si sono occupati degli aspetti psicologici della malattia neoplastica  si sono mossi in un clima accademico e professionale piuttosto scettico e freddo. Concordemente si fa risalire la nascita della psiconcologia al 1950 quando al Memorial Sloan Kettering Center di New York, sotto la guida di uno psichiatra D. Sutherland,  è stato istituito il primo centro di psicologia oncologica finalizzato all’assistenza psicologica del malato di cancro. Questa esperienza newyorkese non nasceva dal nulla ma  trovava il suo  retroterra culturale e clinico nella psichiatria di consulenza attiva già da molti anni in diversi ospedali generali  negli Usa, in Canada e in alcune realtà del nord Europa.

Negli anni  settanta e ottanta la psiconcologia si è diffusa maggiormente coinvolgendo un numero di ricercatori sempre più numeroso e tutto questo ha permesso l’approfondimento e la maggiore conoscenza di temi come: impatto della diagnosi  e dei vari trattamenti  sui malati,  chiarificazione degli  stili di coping  adottati per fronteggiare gli eventi traumatici, impatto psicologico della malattia sulla famiglia e sul mondo professionale,  aspetti relazionali e comunicativi con lo staff sanitario, relazione tra piano terapeutico e qualità di vita.  La maggiore conoscenza di questi processi hanno permesso di capire che l’esperienza dei malati e complessa e non necessariamente sempre negativa. Se nel 1955  le parole utilizzate , per raccontare l’esperienza associata alla malattia neoplastica, erano quelle riportate nella ricerca di Bard M e Sutherland (3), nel 2003 la stessa esperienza delle donne operate per patologia mammaria erano descritte  attraverso nuove espressioni come: opportunità, crescita, senso, empowerment, miglioramento delle relazioni sociali, profondità dei legami ecc (5) . Un insieme di parole molto diverse da quelle utilizzate negli anni 50 che ci mostrano come  in realtà l’esperienza dei malati oncologici è complessa, variegata, con differenti sfaccettature molto più di quanto non appaia  ad un primo sguardo. Possiamo concludere quindi che se  da una parte  l’esperienza della malattia e delle terapie può dare luogo a elevati stati di disagio, dall’altra parte  può indurre ad una revisione positiva dei valori personali, rinforzare dei legami affettivi e determinare in modo apparentemente paradossale un reale miglioramento della qualità di vita.

Da un punto di vista strettamente medico la  patologia oncologica è un percorso che si snoda lungo una traiettoria temporale segnata da tappe fondamentali che nella maggioranza delle situazioni coincide con la  diagnosi, l’intervento chirurgico, i trattamenti farmacologici (chemioterapia e ormonoterapia) e la radioterapia . Solitamente a questo programma terapeutico   segue quello dei controlli  che abbraccia un arco temporale di almeno 5 anni oltre i quali, in assenza di malattia,  è lecito, parlare di guarigione. Per molte altre  persone il percorso clinico che si delinea è differente in quanto la malattia può ripresentarsi dopo un breve tempo oppure anche a distanza di anni. In questo modo si entra in un’altra fase, in un altro tempo di  malattia dove  emergono altri bisogni e problematiche psicologiche.

L’intervento psicologico durante la malattia oncologica non può prescindere dalla tipologia, dall’organo colpito, dallo stadio  clinico e  dal programma medico/terapeutico proposto. Infatti le implicazioni psicologiche  sono differenti e  frutto dell’interazione tra queste variabili e  caratteristiche di personalità del soggetto interessato, specificità delle dinamiche familiari, professionali e sanitarie.

La molteplicità degli interventi psicologici che vengono  applicati durante il percorso clinico, che abbraccia il periodo che intercorre tra la diagnosi e la  fase terminale, possono essere riassunti con le parole: support, coping skills e psycho-spiritual therapy. Ognuna di queste parole riassume problematiche, fase di malattia e approcci terapeutici differenti sia in termini di modalità di intervento che di obiettivi da raggiungere. Tre parole che riassumono un percorso temporale clinico e umano  intenso,  doloroso ma,  certe volte anche entusiasmante,  che può raccontare il complesso viaggio esistenziale che può essere riassunto dalla frase  “dal sintomo alla ricerca di senso”.

Per molte persone la malattia rappresenta l’inizio di un percorso che ha come obiettivo la “riparazione”, la cura di un organo malato ma che  può diventare anche occasione di crescita umana ed  esistenziale. All’inizio pochi malati riescono a comprendere questo. Il primo focus è centrato sulla malattia e sulle terapie. Il tema della morte e della finitudine si pongono come centrali così come la relazione con il medico che può essere fonte di ansie ma anche di rassicurazioni. Si può affermare che, da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico,  la prima fase è caratterizzata dal supporto e dall’ascolto.  E’ la narrazione della  malattia attraverso  i suoi aspetti psicodinamici e relazionali, quella  fase che coincide con l’assessment psicologico, con  la raccolta dei dati anamnestici, degli  eventi significativi che hanno caratterizzato la vita del paziente, con l’individuazione degli stili di coping, con la chiarificazione delle complesse interazioni dell’esperienza di malattia con la dimensione professionale e familiare. In poche parole quella dimensione clinica che permette di “narrare” la malattia in tutte le sue faccettature , rendendo “dicibile” ciò che tradizionalmente veniva considerato non degno di ascolto e oggetto di rimozione e/o negazione. Strategie comportamentali operate sia dal singolo che dal contesto familiare e sanitario e che rendevano l’esperienza della malattia un processo di non detti e di cortocircuiti psicologici ed esistenziali.  In questa fase il supporto psicologico si pone come fondamentale per poter trovare dentro di se lo spazio e le parole  per affrontare la malattia con consapevolezza e speranza.

La fase del cosiddetto coping skills si inserisce  nel momento in cui l’attenzione può essere focalizzata sulle risorse da attivare per affrontare le terapie nel migliore dei modi. La ricerca di nuove modalità di coping che permettono di affrontare in modo più funzionale lo stress associato alle terapie e agli effetti collaterali. Infatti uno dei problemi psicologici più importanti associati alla patologia neoplastica è rappresentato dai livelli di arousal che condizionano tutto il funzionamento esistenziale e che, durante la malattia e i trattamenti, sono tendenzialmente molto alti. I dati di letteratura ci dimostrano che la gestione della malattia e delle terapie  si configura nella maggioranza dei casi come un’esperienza molto stressante sia in termini di intensità che di temporalità. Visite mediche, interventi chirurgici, esami ematochimici, radiologici, terapie farmacologiche e radianti,   difficoltà lavorative, familiari e  problematiche individuali descrivono un tempo caratterizzato da una sommatoria di stressor che condizionano  l’agire quotidiano. La comparsa di una molteplicità di sintomi tra i quali: alterazione dei ritmi sonno/veglia, disturbi alimentari,  modificazione del  tono dell’umore, difficoltà relazionali,  effetti collaterali ai trattamenti medici di natura psicogena,  disturbi della compliance, sindromi ansiose e depressive si impongono all’attenzione dei clinici e richiedono l’applicazione di particolari tecniche psicoterapeutiche. E’ l’insieme di quelle strategie psicologiche cosiddette mente/corpo che trovano la loro base scientifica nella Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia (PNEI). Un insieme di tecniche come: rilassamento, visualizzazioni guidate, meditazione, ipnosi, mindfulness, EMDR (Eye Movement Desensitiziaton and Reprocessing) e Touch Therapy che da un punto di vista fisico agiscono  riequilibrando il sistema neuro-vegetativo, stimolando le difese immunitarie e da un punto di vista psicologico riducono i livelli d’ansia, di depressione, risolvono sintomatologie post-traumatiche e  in generale attivano processi di benessere psicologico e miglioramento della qualità di vita.

La fase terapeutica caratterizzata dal supporto e dalle tecniche di Coping Skills hanno lo scopo  di aiutare il paziente a gestire le problematiche psiscologiche associate alla diagnosi e ai trattamenti e nello stesso tempo di offrire al paziente la possibilità di distanziarsi da questi stessi vissuti. Infatti, l’attenzione su se stessi e l’iperfocalizzazione sulla malattia si configura come terapeuticamente utile soltanto se predispone il malato a trovare un tempo dove l’attenzione non è più centrata su se stesso ma su qualche cosa che è “fuori di sé”. In oncologia l’intervento psicologico completo e globale si configura come un percorso che partendo da sé si va oltre il sé. Soltanto in questo modo è possibile porre le basi per una reale crescita post-traumatica che è caratterizzata da una nuova collocazione di se stessi nel mondo e nelle relazioni.  La crescita post-traumatica è pertanto inscindibilmente legata all’acquisizione di  un nuovo senso del vivere e della propria collocazione nel mondo. Gli interventi psicologici psico-spirituali focalizzano  l’attenzione proprio  sul tema del senso e del significato della malattia all’interno del proprio progetto esistenziale. E’ la nuova frontiera di interventi psico-oncologici che devono essere ancora perfezionati e diffusi e che hanno trovati nella cure palliative il loro primo ambito di intervento.

Nella storia della oncologia  le cure palliative, insieme alla pediatria, sono stati i primi ambiti all’interno dei quali si è recuperata la visione globale e complessiva dell’essere umano inaugurando il passaggio dal “curare la malattia” al “prendersi cura del malato”. E’ stato soprattutto in questo settore che ci si è chiesto se la cura adeguata dovesse riguardare solo il dolore e il controllo dei sintomi oppure il focus non dovesse espandersi e includere anche variabili psicologiche, sociali, psichiatriche, esistenziali e spirituali (6,7).

Importanti  istituzioni come l’World Health Organization (WHO) e l’European Association for Palliative Care (EAPC) hanno sottolineato in diversi documenti l’importanza di un assessment globale delle condizioni del paziente con particolare attenzione alla dimensione spirituale (8,9).

All’interno delle cure palliative, l’intervento psico-spirituale è associato  soprattutto all’esperienza condotta da W. Breitbart che ha delineato un modello di intervento focalizzato sulle teorizzazioni di V. Frankl, denominato Meaning Centered Group Psychoterapy. W. Breitbart sostiene che la  ricerca di senso è un processo generativo che può indurre nei pazienti un’esplorazione attiva della relazione tra sé e gli altri  migliorando i livelli di ansia, di paura e di disperazione associati alla fine della vita (10,11).

Pur nella condivisione della riflessione di Breitbart sull’attenzione agli aspetti esistenziali e spirituali nei pazienti oncologici, riteniamo che il lavoro psico-spirituale non riguardi solo le  ultime fasi della vita  ma più in generale l’intera esperienza dei malati in ogni  fase di malattia.  In poche parole la variabile più importante per proporre un lavoro sul senso e il significato  non è legato alla patologia e alla sua manifestazione ma al soggetto e alle sue specificità umane. Il livello di maturazione individuale, lo stato di coscienza, la capacità di distanziamento e di auto-trascendenza sono variabili più importanti per far si che l’intervento clinico possa manifestarsi in tutta la sua valenza terapeutica. Tutto questo significa che per alcuni pazienti il percorso terapeutico  inizia con il supporto, passa attraverso le tecniche focalizzate sul coping skills e termina con il lavoro psico-spirituale; per altri si può iniziare subito con il lavoro logoterapico ed esistenziale, per altri ancora questa esperienza non è proponibile in quanto l’attenzione sul trauma e la gestione della malattia permane come unico ed esclusivo problema del paziente.

L’esperienza clinica proposta all’interno dell’Istituto Tumori di Milano, denominata Gruppi LÆON (Logoterapia e Analisi Esistenziale in Oncologia) si ispira al lavoro condotto da W. Breibart a New York ma se ne discosta sia nei suoi aspetti organizzativi che metodologici. E’ un’esperienza  che ha suscitato molto interesse nella comunità scientifica e che a tutt’ oggi permane come unico spazio clinico dedicato agli aspetti spirituali ed esistenziali nei malati oncologici (12,13,14,15).

 

Bibliografia

  • Culberg J.; Crisis and development. Stockholm. Bonniers, 1975.
  • Bolund C. Crisis and Coping-Learning to Live with Cancer. In: Holland J.C., Zittoun R. Psychosocial Aspects of Oncology. Springer-Verlag, Berlin-Heidelberg, 1990.
  • Bard M.,Sutherland AM, Psychological impact of cancer and its treatment: IV,Adaptation to radical mastectomy. Cancer 1955,8: 656-672
  • Welc-McCaffrey D., Hoffman B., Leigh S.A., Surviving adult cancer. Part 2, psychosocial    Ann Intern Med 111:517-24.1984
  • Kinney CK, Rodgers DM, Nash KA: Holistic health for women with breast Cancer through a mind, body, and spirit self-empowerment program. J Holist Nurs 2003; 21: 260-279.
  • Breitbart W, Chochinov HM, Passik SD. Psychiatric aspects of palliative care, in Doyle D, Hanks GW, MacDonald N (eds) (ed Oxford University Press). New York, 1998, pp 216.
  • Chochinov HM, Breitbart W. Handbook of Psychiatry in Palliative Medicine. Oxford University Press, USA 2009.
  • World Health Organization. Policies and managerial guidelines for national cancer control programs. Rev Panam Salud Publica 2002; 12:366-370
  • http://www.eapcnet.eu/Corporate/AbouttheEAPC/Definitionandaims.aspx
  • Breitbart W, Gibson C, Poppito SR, et al. Psychotherapeutic interventions at the end of life: A focus on meaning and spirituality. Focus 2007; 5:451
  • Breitbart W, Rosenfeld B, Gibson C, et al. Meaning-centered group psychotherapy for patients with advanced cancer: A pilot randomized controlled trial. Psycho-oncology 2010; 19:21-28
  • Murru; intervento dal titolo: I gruppi di Logoterapia con i pazienti oncologici. Giornata di studio dal titolo: Oltre il trauma: processi di resilienza e percorsi di crescita nei malati oncologici. Università degli Studi di Milano-Bicocca Facoltà di Psicologia , 5 novembre 2010.

 

  • Murru; intervento dal titolo: Dal sintomo alla progettualità: interventi psicologici in oncologia. Convegno a cura dell’Associazione ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico)  dal titolo. Il paziente al centro della cura;  HI Caffe Mondadori , Milano 10 giugno 2011
  • Murru; intervento dal titolo:  Dal sintomo alla progettualità. XII convegno nazionale S.I.P.O. (Società Italiana di Psiconcologia)  dal titolo: La riabilitazione in oncologia: integrazione di saperi e di tecniche; 22-25 novembre 2011.